di
Diego Alhaique
Gli occupati nel lavoro interinale sono in costante crescita negli ultimi anni.
Secondo i dati (relativi al 2000) del ministero del Welfare, oltre il 77 per
cento è assorbito dall’industria manifatturiera e i lavoratori sono
prevalentemente operai. In generale, è noto che la giovane età, la bassa
qualifica professionale, lo scarso addestramento, la breve durata del lavoro e
la scarsa conoscenza dell’ambiente sono fattori che possono favorire gli
infortuni. Diversi studi, infatti, dimostrano che la frequenza di incidenti sul
lavoro è connessa con il livello di addestramento e di esperienza lavorativa.
Recentemente tale correlazione comincia a essere messa in evidenza anche da rilevazioni
effettuate sugli infortuni nel lavoro interinale. Segnaliamo qui due analisi
condotte dai Servizi di tutela della salute nei luoghi di lavoro delle Asl.
Il primo studio (pubblicato in Medicina del Lavoro n.4/2001) è stato realizzato
dall’Unità operativa di prevenzione di Milano e ha riguardato sedici imprese
fornitrici di lavoro temporaneo che hanno occupato nel 2000 più di 250.000
operai. Sono stati analizzati gli incidenti con prognosi superiore a 3 giorni,
prendendo in considerazione gli eventi occorsi nel 2000 ai lavoratori con
qualifica di operaio e le variabili età, sesso, nazionalità, prognosi e cause.
Le imprese hanno fornito i dati relativi alle ore lavorate. Gli infortuni sono
risultati essere 5.259, con un indice di frequenza (IF) – cioè il numero di
infortuni per milione di ore lavorate – complessivo (92,1), che evidenzia una
forte differenza tra il dato relativo alle tre principali imprese (87,5) e le
rimanenti (139,5). L’età media degli infortunati è di 27,8 anni, mentre le
cause più frequenti sono rappresentate dagli attrezzi di lavoro (51,5 per
cento), il 76 per cento degli infortuni riguarda operai comuni e più di un
quarto gli extracomunitari. Si può ipotizzare che l’indice di frequenza più
basso nelle imprese di maggiore dimensione dipenda dal fatto che queste operano
da più tempo rispetto alle più piccole, utilizzano personale con più elevato
livello di formazione e hanno come aziende “utilizzatrici” imprese più grandi
con standard di sicurezza migliori. Inoltre l’IF complessivo registrato risulta
più alto di quelli forniti dall’Inail per il settore metalmeccanico (38,1),
edile (47,7) e minerario (58,8). Sembra evidente che il lavoro temporaneo è
correlato in questo caso con un maggior rischio di infortuni rispetto a forme
di lavoro tradizionali.
Tali risultati sono confermati dal secondo studio, che è stato svolto dai
Servizi di prevenzione, igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro di Vicenza,
sul fenomeno infortunistico nei lavoratori temporanei dipendenti anche qui da
sedici imprese “fornitrici” con sede nel territorio del capoluogo. I dati di
questa ricerca, raccolti tramite questionario rivolto alle imprese, hanno
riguardato 260 infortuni accaduti nel triennio 1999-2001 agli 8.775 dipendenti
assunti nello stesso periodo da queste ditte. Gli indici di frequenza sono
risultati anche in questo caso molto elevati (109,1 nel 1999; 106,6 nel 2000 e
107,9 nel 2001) e hanno consentito di pervenire alle seguenti conclusioni: la
frequenza di infortunio del lavoratore interinale è più che doppia del
lavoratore “tradizionale” e non diminuisce nel periodo considerato; gli indici
di frequenza più contenuti sono stati rilevati dalle imprese che forniscono
ampie quote di lavoro impiegatizio. La dimensione del fenomeno infortunistico
tra i lavoratori interinali appare dunque, in base a queste prime indagini,
alquanto preoccupante e impone l’esigenza, soprattutto, che le imprese
interessate stabiliscano, nel contratto di fornitura di prestazioni di lavoro
temporaneo, i ruoli reciproci negli interventi di informazione e formazione del
lavoratore.
(Rassegna sindacale, n. 31, 3 settembre 2002)