La marcia trionfale del potere sovietico
Lenin definì marcia trionfale del potere sovietico periodo che va dal 25 ottobre (7 novembre) al febbraio-marzo 1918. In tutta la Russia le masse popolari svilupparono la lotta per l’affermazione del potere sovietico, demolendo l’accanita resistenza delle classi sfruttatrici. Nella marcia trionfale del potere sovietico si manifestò chiaramente il carattere genuinamente popolare della Rivoluzione di Ottobre, quel carattere che le avrebbe consentito di battere con indomabile energia la controrivoluzione interna e l’aggressione delle potenze capitalistiche.
LE PRIME SCONFITTE DELLA CONTRORIVOLUZIONE
La prima sconfitta toccò alla rivolta Kerenskij-Krasnov. Scappato nella zona dov’era dislocato il Quartier generale del fronte settentrionale, Kerenskij mise assieme alcune unità controrivoluzionarie e con l’aiuto del comandante del III corpo di cavalleria, il generale cosacco Krasnov, le inviò verso Pietrogrado per abbattere il potere sovietico. Il 27-28 ottobre (9-10 novembre) le truppe controrivoluzionarie occuparono Gatčina e Carskoe Selo. A Pietrogrado il centro controrivoluzionario del cosiddetto Comitato per la salvezza della patria e della rivoluzione “organizzò per il 29 ottobre (11 novembre) una rivolta degli junkers.
Gli junkers furono schiacciati in quello stesso giorno dal potere sovietico, e il 30 ottobre (12 novembre) i reparti cosacchi di Krasnov, che si stavano avvicinando a Pietrogrado, subirono una cocente sconfitta sui colli di Pulkovo, abbandonarono allora Carskoe Selo e si ritirarono disordinatamente verso Gatčina. Il I° (14) novembre reparti di truppe rivoluzionarie occuparono anche Gatčina. Kerenskij fuggì, Krasnov fu arrestato e in seguito liberato, avendo dato la “parola d’onore di generale” di non combattere più il potere sovietico (ma venendo meno alla parola data, si mise ben presto alla testa di un nuovo movimento controrivoluzionario).
In quel momento di accanita lotta contro le forte reazionarie, creò ostacoli al potere sovietico anche il “Comitato esecutivo panrusso dei sindacati dei ferrovieri” (Vikzel), che era allora diretto dai socialrivoluzionari e menscevichi, intervenendo all’insegna della “neutralità” e proponendo la creazione di un “governo socialista omogeneo” al quale avrebbero dovuto partecipare non solo i bolscevichi, ma anche i menscevichi e i socialrivoluzionari di destra e di sinistra. Accettare la loro proposta avrebbe significato la liquidazione del potere sovietico.
Il Comitato Centrale del partito bolscevico, allo scopo di smascherare questi piani antisovietici, espresse il suo accordo a iniziare trattative con il “Comitato esecutivo panrusso dei sindacati dei ferrovieri”, avanzando come condizione che la creazione di un tale governo fosse sottoposta al Comitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia e che il nuovo governo riconoscesse i decreti e le decisioni del II congresso panrusso dei soviet, ma il comitato esecutivo dei sindacati ferrovieri respinse questa condizione, rivelando pienamente, in tal modo, i suoi obiettivi controrivoluzionari.
Durante le trattative si manifestarono di nuovo le oscillazioni opportunistiche di Kamenev e Zinov’ev e dei loro sostenitori. Non credendo alla vittoria della rivoluzione socialista in Russia e cercando d’indirizzare il partito sulla via del parlamentarismo borghese, essi sostennero la piattaforma antisovietica del comitato esecutivo dei sindacati ferrovieri. Quando il Comitato Centrale votò la risoluzione nella quale questa piattaforma veniva respinta, Kamenev, Zinov’ev, Rykov, Noghin e Miljutin dichiararono di voler uscire dal Comitato Centrale. Noghin, Rykov, Miljutin e Teodorovid uscirono anche dal Consiglio dei Commissari del Popolo.
Il Comitato Centrale condannò decisamente il loro operato come atto di capitolazione e di diserzione. Su proposta della frazione bolscevica Kamenev fu sollevato dall’incarico di presidente del Comitato Esecutivo Centrale. Al suo posto fu eletto un eminente dirigente del partito bolscevico, J. M. Sverdlov, del quale Lenin ebbe a dire in seguito che era “il tipo più spiccato di rivoluzionario di professione, che egli esprimeva i tratti più importanti ed essenziali della rivoluzione proletaria”. V. I. Lenin: “Discorso in memoria di J. M. Sveerdlov alla seduta straordinaria del Comitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia”, Opere, vol. 29, pag. 75). Del Consiglio dei Commissari del Popolo entrarono a far parte alcuni noti uomini politici del partito bolscevico: Petrovskij, Stučka, Šlichter e Elizarov.
L’INSTAURAZIONE DEL POTERE SOVIETICO A MOSCA
Un significato determinante per i destini della rivoluzione socialista ebbe il passaggio del potere ai soviet a Mosca. La controrivoluzione aveva concentrato qui le sue maggiori forze nella speranza di trasformare Mosca nella sua principale roccaforte. La mattina del 25 ottobre (7 novembre), durante la seduta del comitato di Mosca del partito bolscevico, giunse la notizia dell’insurrezione armata a Pietrogrado. Immediatamente il comitato di Mosca formò un centro militare di partito, del quale entrarono a far parte Vladimirskij, Podbelskij, Pjatnickij, Jaroslayskij e altri, e chiamò operai, soldati, contadini, ferrovieri, impiegati delle poste e del telegrafo alla lotta per la instaurazione del potere sovietico.
Nello stesso giorno, reparti della Guardia Rossa assieme a soldati rivoluzionari del 56° reggimento, con a capo Vedernikov, occuparono la posta e il telegrafo. Tuttavia, il comitato di Mosca, nella organizzazione della lotta contro la controrivoluzione, commise seri errori. Il Comitato militare rivoluzionario presso il soviet di Mosca fu creato con ritardo, la sera del 25 ottobre (7 novembre), dopo che la battaglia per il potere era già iniziata. I bolscevichi accettarono la partecipazione dei menscevichi, i quali però, contemporaneamente, entrarono anche nel centro controrivoluzionario “Comitato per la sicurezza pubblica”, formatosi quella stessa sera durante la riunione della Duma cittadina.
Nella notte del 26 ottobre (8 novembre) il Comitato militare rivoluzionario diffuse l’ordine di mettere in stato d’allarme le forze rivoluzionarie. L’ordine faceva divieto alle unità militari di eseguire disposizioni che non venissero dal Comitato militare rivoluzionario. Si proponeva poi alle organizzazioni rionali bolsceviche di create sul luogo comitati rivoluzionari, di armare i reparti e di occupare i punti più importanti della città.
Nei rioni cittadini di Zamoskvoreče, Sokolniki, Chamovniki, della Presnja e in altri, i comitati rivoluzionari, sostenuti dalle Guardie Rosse e dai soldati rivoluzionari della guarnigione, si tesero rapidamente padroni della situazione.
Un valido apporto fu dato anche dai “dvinski” (gli 860 soldati del fronte, arrestati a Dvinsk per aver manifestato contro la guerra e il governo provvisorio; tradotti alle carceri Butyr di Mosca, in seguito alle pressioni dei bolscevichi, nel settembre 1917 ne erano stati scarcerati 593, che si unirono immediatamente alle forze rivoluzionarie). I “dvinski” avevano l’incarico della difesa del soviet di Mosca, del Comitato militare rivoluzionario e del Comitato del partito bolscevico di Mosca.
La mattina del 26 ottobre (8 novembre) reparti rivoluzionari occuparono le tipografie dei giornali borghesi e alcuni importanti edifici. Al Cremlino, dove si trovavano cinque compagnie del 56° reggimento rivoluzionario, arrivò pure una compagnia del 193° reggimento. Il comandante del distretto militare di Mosca, colonnello Rjabzev, non avendo forze sufficienti per opporre resistenza ai reparti rivoluzionari e nella speranza di mantenere ferma la situazione sino all’arrivo delle truppe richieste dal fronte, propose al Comitato militare rivoluzionario d’iniziare trattative, con la promessa che non avrebbe ostacolato l’armamento degli operai e che avrebbe ritirato gli junkers dal Cremlino.
Il Comitato militare rivoluzionario, nel quale erano presenti elementi opportunisti, cominciò a trattare con Rjabzev, accettò di ritirare dal Cremlino la compagnia del 193° reggimento e ritirò i picchetti di difesa dalla posta e dal telegrafo. II 27 ottobre (9 novembre) Rjabzev, avuta notizia dell’offensiva di Kerenskij e di Krasnov su Pietrogrado, dichiarò lo stato d’assedio a Mosca, intimò l’ultimatum per l’immediata liquidazione del Comitato militare rivoluzionario, l’allontanamento dei soldati rivoluzionari del 56° reggimento dal Cremlino e la restituzione all’arsenale delle armi asportate. Lo Stato Maggiore del distretto militare di Mosca si appoggiava sugli ufficiali della guarnigione, sulle scuole militari “Alessio” e “Alessandro”, sulle scuole degli allievi ufficiali e sul corpo dei cadetti. Alle 10 di sera gli junkers assalirono, sulla piazza Rossa, un reparto di “dvinski”, che dal rione Zamoskvoreče si dirigeva al soviet di Mosca. Si accese un combattimento furibondo e, pur subendo serie perdite, il reparto rosso si fece eroicamente strada lino all’edificio del soviet.
Il 28 ottobre (10 novembre) gli junkers occuparono il Cremlino, facendo un massacro dei soldati del 56° reggimento. Il Comitato militare rivoluzionario, su richiesta del combattivo Centro del partito bolscevico, rigettò l’ultimatum di Rjabzev e chiamò le masse a intervenire attivamente. I menscevichi uscirono dal Comitato militare rivoluzionario. Iniziò l’attacco decisivo della rivoluzione.
Il 28 ottobre (10 novembre) a Mosca fu proclamato lo sciopero generale. Gli operai si avviavano direttamente dalle fabbriche ai comandi della Guardia Rossa per prendere le armi: 40 mila fucili furono presi dai vagoni in sosta sui binari ausiliari della linea ferroviaria Mosca-Kazan e immediatamente utilizzati per l’armamento delle Guardie Rosse. Le forze rivoluzionarie di Mosca salirono così a circa 100 mila uomini. Il 29 ottobre (11 novembre) unità rivoluzionarie occuparono di nuovo la posta e i1 telegrafo e presero d’assalto l’edificio degli amministratori della città sulla via Tverskaja. Aspri combattimenti si accesero nella piazza Sucharevskaja, nei rioni di Ostoženko e Prečistenka, sulla Sadovaja e presso le porte “Nikita”.
Gli operai dei rioni Basmanny, Rogošk e Blaguše-Lefortvosk accerchiarono la scuola militare “Alessio”. I comitati militari rivoluzionari dei ferrovieri istituirono il controllo sulle stazioni, rendendo impossibile l’arrivo delle truppe che il Quartier generale aveva inviato a Rjabzev. Gli operai dimostrarono grande coraggio e fermezza. L’operaio Malenkov diresse gli scontri a Sokolniki; il segretario del sindacato dei tessili, Ščerbakov, che comandava i reparti della Guardia Rossa del rione Blaguše-Lefortvosk, diresse l’assalto alle scuole militari. Blaguše-Lefortvosk. Il giovane tornitore della fabbrica dei telefoni Dobrynin, assieme al professore bolscevico Sternberg, comandò i reparti rivoluzionari a Zamoskvoreče. Le operaie delle fabbriche e delle officine di Mosca, sotto il fuoco delle mitragliatrici, scavavano trincee, prestavano servizio sanitario ai combattenti feriti.
In aiuto agli insorti di Mosca giunsero, al comando di Frunze, Guardie Rosse e soldati rivoluzionari da Ivanovo-Voznesensk e da Šuja. Reparti operai giunsero da Vladimir, Tula, Serpuhov e da altre città. Circa 10. mila operai della regione di Mosca presero parte alla battaglia per la vittoria del potere sovietico nella città. Su direttiva di Lenin furono inviati a Mosca reparti di Guardie Rosse di Pietrogrado e marinai della flotta del Baltico. I combattimenti decisivi si accesero a Mosca l’1-2 (14-15) novembre.
I reparti rivoluzionari, passo a passo, si aprirono il varco verso il Cremlino. Alle 5 del pomeriggio del 2 (15) novembre i controrivoluzionari si arresero. In base alle condizioni della capitolazione il “Comitato per la sicurezza pubblica” si sciolse e gli junkers furono disarmati. La notte del 3 (16) novembre le truppe rivoluzionarie occuparono il Cremlino. Anche a Mosca fu così instaurato il potere sovietico.
LA LIQUIDAZIONE DEL QUARTIER GENERALE CONTRORIVOLUZIONARIO
In quei giorni una seria minaccia per il potere sovietico era rappresentata dal Quartier generale del comando supremo, che si trovava a Mogilëv e che si era trasformato in un centro di complotto controrivoluzionario. Dopo la fuga di Kerenskij, il comandante del Quartier generale, Duchonin, si proclamò comandante supremo. Al Quartier generale si erano precipitati gli ex-ministri del governo provvisorio, con l’intenzione di mettere in piedi un governo antisovietico con a capo il socialrivoluzionario Cernov. Le missioni militari straniere presso il Quartier generate consigliavano Duchonin a non sottomettersi al governo sovietico.
A nome del governo sovietico Lenin richiese categoricamente a Duchonin d’iniziare immediatamente, in conformità al decreto sulla pace, trattative con il comando tedesco. Duchonin rifiutò di eseguire questa disposizione e allora il governo sovietico lo destituì e nominò comandante supremo l’alfiere Krylenko. Duchonin non si sottomise neppure a questo nuovo ordine del governo e per organizzare le forze della controrivoluzione, liberò dagli arresti i generali Kornilov, Denikin, Lukomskij, Romanovskij e altri che avevano partecipato alla rivolta di Kornilov.
Il 9 (22 novembre) Lenin si rivolse per radio a tutti i comitati di reggimento, di divisione, di corpo di armata, d’armata, a tutti i soldati e marinai invitandoli a prendere nelle loro mani la causa della pace. Ai reggimenti che si trovavano nelle prime linee del fronte si riconobbe il diritto d’intavolare trattative con il nemico e di raggiungere accordi di armistizio da inviare poi, per la definitiva ratifica, al Consiglio dei Commissari del Popolo. Per reprimere la ribellione, al Quartiere generale furono inviati, sotto il comando di Krylenko, reparti di soldati e marinai rivoluzionari da Pietrogrado, da Minsk e da altre località. Il 18 novembre (1° dicembre), ancor prima dell’arrivo del nuovo comandante supremo, il Comitato militare rivoluzionario di Mogilëv si proclamò massimo potere nella città e, con l’aiuto di reparti rivoluzionari, prese nelle sue mani il controllo sul Quartier generale. Duchonin fu arrestato; i soldati indignati lo fucilarono.
La rapida disfatta delle rivolte di Kerenskij, Krasnov e di Duchonin era frutto dell’aiuto attivo e completo che le masse dei soldati e dei marinai davano alla rivoluzione socialista. John Reed, che in quei giorni si trovava al fronte, scrisse che “le delegazioni delle forze di terra e di mare si succedevano a Pietrogrado, portando le loro felicitazioni entusiastiche al nuovo governo del popolo”. Nel corso del mese di novembre nella maggioranza delle formazioni militari il potere passò ai comitati militari rivoluzionari.
L’INSTAURAZIONE DEL POTERE SOVIETICO NELLE DIVERSE LOCALITÀ
La Russia intera con i suoi centri industriali, politici e culturali fu la base della rivoluzione socialista. Durante i primi giorni della rivoluzione, dal 25 al 31 ottobre (7-13 novembre), il potere dei soviet fu instaurato in 16 centri provinciali e alla fine di novembre già in tutti i più importanti centri industriali e sui principali fronti di guerra. Gli operai di Pietrogrado, di Mosca e degli altri centri proletari ebbero una grande funzione nella instaurazione del potere sovietico nella periferia. Il Comitato militare rivoluzionario di Pietrogrado inviò nelle diverse province più di 600 agitatori, 106 commissari e 61 istruttori; il governo sovietico inviò nelle campagne circa 10 mila operai per la organizzazione del lavoro rivoluzionario.
L’instaurazione del potere sovietico nelle diverse regioni del paese avvenne in tempi e condizioni diversi: in alcuni grossi centri industriali e politici del paese, dove i soviet erano in mano ai bolscevichi già dal periodo di preparazione della rivoluzione socialista e che di fatto erano padroni della situazione, il potere sovietico fu instaurato rapidamente e, in gran parte, per via pacifica. Così avvenne a Lugansk, Ivanovo-Voznesensk e in tutta la regione industriale di Ivanovo-Kinešma, a Ekaterinburg, Ufa, nella maggior parte delle altre città degli Urali, nelle città del Volga, a Nižnij Novgorod, Samara e Zarizyn. Ma in alcune città la controrivoluzione costrinse ope rai e contadini a passare alla lotta armata.
Molto più complessa fu l’instaurazione del potere sovietico negli immensi territori della Siberia e dell’Estremo Oriente, dove l’assenza della grande proprietà fondiaria e di una industria sviluppata non aveva consentito uno sviluppo radicale della lotta di classe. Nelle campagne dominava un forte strato di kulaki (contadini ricchi); i pochi operai erano dispersi in isolati centri industriali, principalmente lungo la ferrovia transiberiana. Poche erano le organizzazioni bolsceviche; fra gli operai, ma soprattutto fra i contadini, erano i socialrivoluzionari e i menscevichi ad avere ancora l’influenza predominante. A Omsk, Irkutsk, Čita e in altre località erano esistite sino all’autunno 1917 organizzazioni socialdemocratiche unitarie di bolscevichi e menscevichi e questo fatto aveva frenato la lotta per il potere sovietico.
Sotto la direzione del Comitato Centrale del partito i bolscevichi della Siberia e dell’Estremo Oriente crearono in breve tempo organizzazioni combattive e svilupparono un’efficace lotta per la vittoria della rivoluzione socialista. Il 29 ottobre (11 novembre) il potere sovietico venne instaurato a Krasnojarsk e il 29 novembre (12 dicembre) a Vladivostok. Il 30 novembre (13 dicembre), dopo avere sconfitto con una lotta armata le forze della controrivoluzione, prese il potere anche il soviet di Omsk. Il 10 (23) dicembre il III congresso regionale dei soviet della Siberia occidentale, riunito a Omsk, proclamò l’instaurazione del potere sovietico in tutta la Siberia occidentale. Con l’aiuto dei reparti delle Guardie Rosse di Krasnojarsk e di altre città, i lavoratori di Irkutsk, alla fine del dicembre 1917, sconfissero le Guardie Bianche che avevano promosso una rivolta contro il potere sovietico. Il 6 (19) dicembre il potere passò, al soviet a Chabarovsk.
Il 14 (27) dicembre il III congresso circondariale dei soviet dell’Estremo Oriente, riunito a Chabarovsk, adottò una dichiarazione sul passaggio di tutto il potere ai soviet nelle regioni dell’Amur e del Territorio Marittimo (Primorskij Kraj). Alla fine del gennaio 1918 fu liquidata e cacciata da Tomsk la cosiddetta Duma regionale siberiana, che pretendeva di rappresentare il potere in Siberia. Il II congresso dei soviet di tutta la Siberia, che si tenne nel febbraio 1918 a Irkutsk, consolidò la vittoria del potere sovietico in Siberia e nell’Estremo Oriente.
Molti sforzi da parte del potere sovietico richiese la repressione della controrivoluzione cosacca nel Don, diretta dall’atamano Kaledin, che aveva affermato che le truppe del Don non si sarebbero sottomesse al governo sovietico e si era messo sulla via della guerra aperta al potere sovietico. Nella zona del Don si erano intanto precipitati tutti i capi della controrivoluzione russa: Miljukov, Denikin, Kornilov e i loro complici. Kaledin si collegò con i cosacchi controrivoluzionari del Kuban, del Terek, di Astrakan, con l’atamano cosacco Dutov a Orenburg e con altre forze controrivoluzionarie.
Gli Stati imperialisti inviarono a Kaledin armi e denaro, sperando di rovesciare col suo aiuto il potere sovietico. Il segretario di stato americano Lansing scriveva in un rapporto al presidente Wilson: “La forza meglio organizzata e capace di farla finita col bolscevismo e di soffocare il governo è rappresentata dal gruppo del generale Kaledin... La sua disfatta significherebbe mettere tutto il paese nelle mani dei bolscevichi... Occorre rafforzare negli alleati di Kaledin la convinzione che essi riceveranno aiuti morali e materiali dal nostro governo se il loro movimento diventerà sufficientemente forte...”.
I finanzieri americani, i governi francese e inglese diedero a Kaledin ingenti somme di denaro per organizzare la rivolta antisovietica. La missione americana della Croce Rossa cercò di far giungere nel Don automezzi blindati e macchine. Con i soldi degli imperialisti stranieri anche i generali zaristi Alekseev e Kornilov cominciarono a formare l’esercito, cosiddetto “volontario”, delle Guardie Bianche. In novembre Kaledin riuscì a conquistare Rostow sul Don e poi Taganrog. Dopo aver instaurato in queste città un regime di sanguinoso terrore, egli manifestò l’intenzione di marciare su Mosca. Per sconfiggerlo, il governo sovietico gli mandò incontro unità di Guardie Rosse e reparti rivoluzionari da Mosca, Pietrogrado e dal Donbass.
Nel frattempo il partito bolscevico conduceva un lavoro di chiarificazione fra i cosacchi. In gennaio, nel villaggio cosacco di Kamensk si tenne il congresso dei cosacchi che combattevano al fronte. Erano presenti rappresentanti del Comitato Centrale e del comitato clandestino di Rostov del partito bolscevico. Il congresso riconobbe il potere sovietico, formò un comitato rivoluzionario del Don con a capo il cosacco Podtelkov, elesse la delegazione da inviare all’imminente III congresso panrusso dei soviet e dichiarò guerra a Kaledin, che si trovò cosi attaccato frontalmente e alle spalle. Convintosi che la sua situazione era senza via di scampo, Kaledin preferì suicidarsi.
All’inizio di febbraio insorsero gli operai di Taganrog, instaurando in città il potere sovietico. Reparti della Guardia Rossa arrivarono alla periferia di Rostov, che occuparono il 24 febbraio; il giorno seguente cadeva anche Novočerkassk. In tutta la zona del Don si affermò così il potere sovietico.
Per l’instaurazione del potere sovietico, assieme al popolo russo lottarono coraggiosamente i popoli delle altre nazionalità della Russia. La politica nazionale leninista assicurò l’unità delle forze rivoluzionarie dei diversi popoli e comunità della Russia. I principi fondamentali di questa politica nazionale erano stati trasformati in legge nella dichiarazione sui diritti dei popoli della Russia, approvata dal Consiglio dei Commissari del Popolo il 2 (15) novembre 1917. La dichiarazione proclamava l’uguaglianza e la sovranità dei popoli della Russia, il loro diritto alla libera autodeterminazione, sino alla separazione e alla formazione di uno Stato autonomo; proclamava l’abolizione di tutti i privilegi e le limitazioni nazionali e religiose, il libero sviluppo delle minoranze nazionali e dei gruppi etnici che popolavano il territorio della Russia. Nell’appello “A tutti i lavoratori musulmani della Russia e dell’Oriente”, nel manifesto al popolo ucraino e in altri suoi atti, il governo sovietico dimostrò chiaramente la profonda, fondamentale differenza della sua politica nazionale liberatrice da quella praticata dal governo provvisorio.
La politica dell’internazionalismo proletario raccolse attorno al potere sovietico i lavoratori di tutte 1e nazioni. Tuttavia, le peculiarità delle sviluppo politico ed economico-sociale delle nazionalità periferiche ebbero il loro peso nel corso della lotta per l’instaurazione del potere sovietico. La rivoluzione socialista incontrò in alcune zone l’accanita resistenza delle organizzazioni nazionalistico-borghesi, sorte ancor prima della Rivoluzione d’Ottobre (la Rada ucraina e bielorussa, il Kurultai in Crimea, l’Orda di Alaš nel Kazachstan eccetera). Queste organizzazioni crearono “governi” nazionalistici controrivoluzionari e, coprendosi con la bandiera della lotta per l’indipendenza nazionale, dichiararono guerra al potere sovietico. Fecero blocco con i nazionalisti attivi elementi controrivoluzionari che avevano trovato riparo in quelle zone dopo la Rivoluzione d’Ottobre e che cercavano ora di trasformare quei centri nazionalisti in focolai della controrivoluzione.
Le forze rivoluzionarie dovettero lottare nelle regioni periferiche, assai più che non nelle regioni centrali, contro la pressione degli imperialisti stranieri. Le difficoltà della lotta per il potere dei soviet erano legate anche all’assenza o alla scarsissima presenza del proletariato, alla debolezza delle organizzazioni bolsceviche e alla maggiore influenza dei partiti opportunistici e nazionalistici sulle masse lavoratrici.
Il potere sovietico trionfo rapidamente nelle zone della Bielorussia e del Prebaltico non occupate dai tedeschi. A Mogilëv si trovavano il Quartier generale del comando supremo, la Rada nazionalistico-borghese della Bielorussia, e numerose formazioni controrivoluzionarie: il corpo d’armata del generale Dowbór-Muśnicki, formato da polacchi che prestavano servizio militare nel vecchio esercito; battaglioni d’assalto eccetera. Queste forze controrivoluzionarie rappresentavano una seria minaccia per il potere sovietico, poiché potevano in qualsiasi momento essere utilizzate contro Pietrogrado e Mosca. Esse però non trovavano alcun appoggio tra le masse popolari.
Le organizzazioni bolsceviche della Bielorussia e del fronte occidentale, fin dalla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, disponevano della maggioranza nei soviet e nei comitati dei soldati, ciò che permise al soviet di Minsk, il 25 ottobre (7 novembre), di prendere il potere nella città. lo seguirono ben presto i soviet di Gomel, di Mogilëv, di Vitebsk e di altri centri. Come indicava in un suo rapporto al governo sovietico il Comitato esecutivo dei soviet della regione occidentale, il passaggio del potere ai soviet in tutti i centri più o menu importanti era avvenuto in un paio di settimane.
Nella seconda metà di novembre si tenne a Minsk il congresso dei soviet dei deputati operai e soldati, il congresso del fronte e il congresso dei soviet contadini. Ai lavori di questi congressi parteciparono con pieni potere, da parte del Comitato Centrale del partito bolscevico e del Consiglio dei Commissari del Popolo e del Comitato Esecutivo Centrale, Ordžonikidze e Volodarskij. In Bielorussia si formò il Consiglio dei Commissari del Popolo della regione occidentale con a capo il noto dirigente bolscevico Mjasnikov.
La lotta per instaurare il potere sovietico si concluse con successo anche nelle zone non occupate del Baltico. Il 24 ottobre (6 novembre) ebbe inizio l’insurrezione a Reval (Tallinn) e il 26 ottobre (8 novembre) il Comitato militare rivoluzionario pubblicava il proclama della vittoria della rivoluzione e dell’instaurazione del potere sovietico in Estonia. In Lettonia, nella città di Valka, il 16-17 (29-30) di cembre, sotto la direzione dei bolscevichi, ebbe luogo il congresso dei soviet dei deputati operai, soldati e contadini, che elesse il primo governo sovietico della Lettonia.
I lavoratori dell’Ucraina sostennero decisamente l’iniziativa del proletariato russo. Gli operai rivoluzionari e i soldati di Kiev si erano mossi il 25 ottobre (7 novembre) con la richiesta dell’immediato passaggio del potere nelle mani dei soviet. Come risposta, i rappresentanti controrivoluzionari del governo provvisorio pubblicarono un proclama che invitava a lottare contro il potere sovietico. La classe operaia ucraina, sotto la direzione dei bolscevichi, insorse in difesa dei soviet. Gli operai della fabbrica “Arsenal”, del 3° aerocentro e di altre fabbriche di Kiev pretesero l’adozione di provvedimenti decisi nei riguardi della controrivoluzione.
Il 27 ottobre (9 novembre) nella seduta congiunta del soviet dei deputati operai e del soviet dei deputati dei soldati fu creato il Comitato militare rivoluzionario. Il giorno dopo i suoi membri vennero arrestati, ma le masse non smobilitarono. Fu formato un nuovo Comitato militare rivoluzionario, che diresse l’insurrezione armata iniziata il 29 ottobre (11 novembre). Nel corso di combattimenti durati tre giorni venne infranta la resistenza della controrivoluzione. Tuttavia la Rada centrale chiamò dal fronte i reggimenti influenzati dai nazionalisti borghesi ucraini e, mutando a proprio favore il rapporto di forze, riconquistò il potere a Kiev. La Rada riuscì con azione demagogica ad attirare dalla sua parte una considerevole parte di contadini, soprattutto quelli ricchi, e proclamò il suo potere in tutta l’Ucraina. Il 7 (20) novembre essa pubblicò la cosiddetta “Terza Universale”, in cui dichiarava di non volersi sottomettere al governo sovietico della Russia; essa inoltre sottoscrisse un accordo con il comandante del fronte romeno, generale Ščerbačev,, per unire i fronti romeno e sudoccidentale in un unico fronte ucraino, sotto il comando dello stesso Ščerbačev, e si alleò con l’atamano Kaledin.
Le attività ostili della Rada centrale costrinsero il Consiglio dei Commissari del Popolo a presentare il 4 (17) dicembre 1917 un ultimatum, che imponeva la cessazione di ogni attività disgregatrice al fronte; di proibire l’afflusso di forze controrivoluzionarie verso il Don; di abbandonare l’alleanza con Kaledin e di restituire in Ucraina le armi ai reggimenti rivoluzionari e ai reparti della Guardia Rossa. I1 governo sovietico avvertiva la Rada che, in caso di mancata esecuzione dei suoi ordini, doveva considerarsi in stato di guerra con il potere sovietico. Contemporaneamente il Consiglio dei Commissari del Popolo in un manifesto al popolo ucraino riconosceva 1’indipendenza dell’Ucraina e smascherava il carattere controrivoluzionario della Rada e la sua politica antinazionale e antisovietica.
La Rada si oppose all’ultimatum del governo sovietico e si rivolse, per ottenere sostegno, ai governi dell’Intesa, che si erano affrettati a riconoscerla e a muoversi in suo aiuto.
Le masse popolari ucraine si convinsero, sulla base dell’esperienza, che la Rada era l’organo della dittatura della borghesia nazionalistica ucraina, asservita al capitale straniero, e scesero in armi contro di essa e i suoi protettori imperialisti. Il Donbass rivoluzionario non riconobbe il potere della Rada. I bolscevichi di Charkov, sotto la guida del membro del Comitato Centrale del partito bolscevico Artem (F. A. Sergeev), dopo aver represso la controrivoluzione locale e instaurato il potere sovietico nella città, agirono di comune accordo con i soviet del Donbass nella lotta per la conquista del potere in tutta l’Ucraina.
A Charkov, l’11 (24) dicembre 1917, si aprì il I congresso dei soviet dell’Ucraina. Il giorno successivo il congresso proclamo il potere sovietico in Ucraina, elesse il Comitato Esecutivo Centrale e formò il governo sovietico di Ucraina, che ebbe nel suo Consiglio Artem (Sergeev), Boš, Kocjubinskij e altri. Il congresso informò il popolo ucraino della stretta alleanza stabilitasi fra l’Ucraina sovietica e la Russia sovietica. Il Consiglio dei Commissari del Popolo della repubblica russa mandò il proprio saluto al governo sovietico dell’Ucraina e promise il suo completo appoggio nella lotta contro la controrivoluzione.
In pochi giorni il potere sovietico vinse a Ekaterinoslav, Odessa, Černigov e in varie altre città dell’Ucraina. Il 16 (29) gennaio 1918 scoppiò a Kiev una nuova insurrezione armata, che facilitò il compito alle unità rivoluzionarie che stavano entrando in città. Il 26 gennaio (8 febbraio) Kiev era conquistata dal potere sovietico. La Rada fuggi in Volinia. Il potere sovietico fu instaurato in quasi tutto il territorio dell’Ucraina, in Crimea e in Moldavia.
All’inizio del 1918, dopo aspra lotta, il potere dei soviet fu instaurato anche in molti grossi centri del Kuban, delle zone rivierasche del Mar Nero, e in marzo in tutto il Caucaso settentrionale. Buačidze, Buinakskij, Kirov e Ordžonikidze furono i principali organizzatori di questa lotta.
Nella zona transcaucasica la lotta per il potere sovietico ebbe un carattere particolarmente complesso e durò a lungo. Le cause sono da ricercarsi nell’assenza di grossi centri industriali, a esclusione di Baku, per cui il proletariato era debolissimo; nell’ostilità fra le diverse nazionalità fomentata da lungo tempo dalle classi sfruttatrici; nella debolezza delle organizzazioni bolsceviche locali e nella maggiore attività dei partiti nazionalistico-borghesi, che si erano formati già da tempo e con una demagogica politica nazionalistica avevano conquistato una notevole influenza tra le masse; nella diretta ingerenza degli imperialisti stranieri.
A Baku, centro proletario della Transcaucasia, dove la lotta dei lavoratori era diretta da una forte organizzazione bolscevica guidata da Šaumjan, Džaparidze, Azizbekov e altri, il potere sovietico venne instaurato il 31 ottobre (13 novembre). Ben presto i soviet trionfarono in quasi tutto l’Azerbaigian. Ma il 15 (28) novembre i partiti nazionalistici controrivoluzionari (i menscevichi georgiani, dasnaki armeni e mussavatisti azerbaigiani), con l’aiuto diretto degli imperialisti stranieri, crearono a Tiflis (Tbilisi) un proprio organo di potere borghese, il cosiddetto “Commissariato della Transcaucasia”. Questi partiti condussero un’accanita propaganda antisovietica, organizzarono bande armate con l’aiuto dei generali delle Guardie Bianche e degli agenti stranieri, e nel gennaio 1918 massacrarono a tradimento i soldati rivoluzionari, che ritornavano dal fronte turco.
La lotta per il potere sovietico nella Transcaucasia si protrasse per lungo tempo. I lavoratori della Transcaucasia la portarono a termine soltanto negli anni 1920-1921.
Negli Urali l’atamano cosacco Dutov, nel dicembre 1917, sollevò una rivolta antisovietica nella zona di Orenburg, con l’aiuto dei menscevichi e dei socialrivoluzionari, della borghesia e dei proprietari fondiari, dei nazionalisti cosacchi e baškiri e degli imperialisti stranieri. Occupando Orenburg, Dutov tagliava la Russia sovietica dall’Asia centrale e minacciava l’esistenza del potere sovietico nei centri industriali degli Urali e delle zone del Volga. Egli cercava inoltre di stabilire un contatto diretto con Kaledin. Il governo sovietico mandò contro Dutov reparti di Guardie Rosse, di marinai rivoluzionari e di soldati da Pietrogrado e da Mosca. Alla disfatta di Dutov parteciparono i lavoratori degli Urali, delle zone del Volga, dell’Asia centrale e del Kazachstan. Commissario straordinario nella lotta contro Dutov fu Kobozev, noto esponente bolscevico degli Urali.
Il 18 (31) gennaio 1918 le truppe rivoluzionarie, con l’aiuto dei lavoratori insorti, occuparono Orenburg e schiacciarono la controrivoluzione cosacca. Dutov, con un pugno di suoi fidi, si rifugiò nelle steppe di Turgaj. A Orenburg il potere passò nelle mani del soviet dei deputati operai, soldati, contadini e cosacchi. La disfatta delle truppe di Dutov ebbe grande importanza, perché affermò il potere sovietico su] territorio del Kazachstan e dell’Asia centrale.
Nell’Asia centrale il Centro della rivoluzione socialista fu Taškent. Il 28 ottobre (10 novembre) 1917 gli operai della ferrovia e i soldati rivoluzionari iniziarono la lotta armata. Per quattro giorni la città fu teatro di scontri accaniti. In aiuto agli operai di Taškent insorti sopraggiunsero squadre di combattenti da varie città dell’Asia centrale e del Kazachstan. Il 31 ottobre (13 novembre) l’insurrezione armata si concluse vittoriosamente e soppresse il potere del comitato turkestano del governo provvisorio. Alla metà di novembre, al III congresso circondariale dei soviet che si tenne a Taškent, si formò il governo sovietico e il Consiglio dei Commissari. del Popolo del Turkestan.
Il diverso rapporto delle forze di classe in alcune zone dell’Asia centrale e del Kazachstan protrasse la lotta per il potere sovietico per alcuni mesi, fino al marzo del 1918, quando furono sconfitti il forze e i centri principali della controrivoluzione nazionalistico-borghese dell’Asia centrale (il Kokand autonomo) e del Kazachstan (l’Orda di Alas) e i cosacchi “bianchi” degli Urali, di Orenburg e della regione dei Sette Fiumi.
In definitiva, il potere sovietico si affermò in quasi tutto il territorio russo nel periodo dall’ottobre 1917 al marzo 1918. Caratterizzando questa marcia trionfale Lenin scrisse: “Per tutta la Russia dilagava l’ondata della guerra civile e dappertutto noi vincevamo con una rapidità incredibile, proprio perché il frutto era maturo, perché le masse avevano ormai superato l’esperienza della politica di conciliazione con la borghesia. La nostra parola d’ordine ‘Tutto il potere ai soviet!’, verificata in pratica dalle masse in una lunga esperienza storica, divenne sangue del loro sangue e carne della loro carne”. V. I. Lenin: “VII congresso del Partito Comunista (Bolscevico) della Russia. Rapporto sulla guerra e la pace”, Opere, vol. 27, pag. 75)
LE CAUSE DELLA VITTORIA E IL SIGNIFICATO STORICO DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE
La grande Rivoluzione socialista d’Ottobre fu il risultato obiettivo del processo storico mondiale, che aveva portato l’umanità alla rivoluzione socialista e messo la classe operaia russa all’avanguardia del movimento rivoluzionario mondiale. La rivoluzione vinse, perché guidata dal proletariato russo che aveva una grande esperienza di lotta, e primo fra tutte le altre classi della società russa creò, sotto la guida geniale di Lenin, il suo partito politico, il partito bolscevico, divenendo la principale forza motrice di tutto lo sviluppo politico-sociale del paese.
Nel corso della lotta si formò una combattiva alleanza del proletariato con i contadini poveri, che rappresentavano la maggioranza della popolazione. Questa alleanza s’incarnò nei soviet, nuova forma del potere statale rivoluzionario. Una condizione decisiva della vittoria della Rivoluzione d’Ottobre fu la presenza alla testa delle masse popolari del partito rivoluzionario dei bolscevichi, armato della teoria marxistaleninista d’avanguardia. Il marxismo-leninismo, nel periodo di preparazione e di realizzazione della Rivoluzione d’Ottobre, si arricchì di nuove tesi teoriche, sia nelle risoluzioni del partito che nei lavori di Lenin, diventando l’esempio vivo di attuazione della teoria leninista della rivoluzione socialista.
La rapidità e la facilità della vittoria della rivoluzione si spiegano anche col fatto che la classe operaia ebbe nella borghesia russa un avversario relativamente debole. L’arretratezza del capitalismo russo, la sua dipendenza dall’imperialismo straniero, le condizioni storiche nelle quali si era sviluppato determinarono il carattere particolarmente reazionario, la fiacchezza politica e l’insufficiente esperienza della borghesia russa. I partiti piccolo-borghesi dei menscevichi e dei socialrivoluzionari, passati apertamente nel campo della controrivoluzione, si smascherarono agli occhi del popolo e si trovarono politicamente isolati.
Anche la situazione internazionale favorì il successo della rivoluzione. Le opposte coalizioni imperialistiche, occupate nella guerra, non poterono prestare subito un rilevante aiuto armato alla borghesia russa. La solidarietà e la simpatia internazionale furono di efficace sostegno alla classe operaia russa.
La Rivoluzione d’Ottobre segnò una svolta radicale nei destini storici della Russia. La classe operaia, alleata con i contadini poveri, abbatté il potere degli sfruttatori e instaurò la propria direzione politica della società, la dittatura del proletariato, creando così le condizioni necessarie per la vittoria del regime socialista. La classe operaia distrusse la vecchia macchina dello Stato, nazionalizzò le fabbriche, le officine, le banche, confiscò la grande proprietà fondiaria, liquidò i privilegi di classe e di casta, creò propri organi del potere statale: i soviet dei deputati operai e contadini. Nacque, nella forma dei soviet, un nuovo tipo di democrazia, estesa alle più larghe masse popolari, che per la prima volta nella storia dell’umanità diventavano padrone dei loro destini.
“Il sorgere stesso dell’URSS e persino i primi duri anni della sua esistenza - ha notato lo scrittore americano Theodore Dreiser - convalidarono un argomento convincente, che ora è diventato indistruttibile. Nell’arena mondiale è apparsa una nazione che fondatamente afferma: il nostro sistema dà la proprietà non al capitale ma al suo produttore e gli dà pure una vita giustamente e adeguatamente costruita e tutti i beni che sono capaci di produrre il genio, l’arte, la scienza e le forze della ragione umana. Questa fiaccola è diventata un faro non solo per la Russia, ma anche un potente riflettore che spietatamente mette a nudo e smaschera macchinazioni, falsità, conflitti generati dalle avidità, oscuri pregiudizi e la spazzatura del sisterna capitalistico”.
A differenza di tutte le precedenti, la Rivoluzione socialista d’Ottobre portò non alla sostituzione di una forma di sfruttamento con un’altra, ma alla liquidazione di qualsiasi sfruttamento dell’uomo sull’uomo; essa distrusse le forme dell’oppressione sociale e nazionale, dell’ineguaglianza di diritti tra le nazioni, elevando i popoli della Russia, prima privati dei loro diritti più elementari, alla condizione di popoli liberi ed eguali.
La rivoluzione socialista salvò la Russia dalla catastrofe economica e nazionale che su di essa incombeva, dalla minaccia di asservimento e smembramento da parte degli imperialisti inglesi, americani, tedeschi eccetera. Essa proclamò una politica di pace e indicò a tutti i popoli la via d’uscita dalla sanguinosa guerra imperialistica mondiale.
“Quando l’umanità liberata celebrerà le date della sua liberazione - ha scritto il grande scrittore francese Henri Barbusse - con lo slancio maggiore e con il più grande entusiasmo festeggerà il 7 novembre 1917, giorno di nascita dello Stato sovietico, che ha emanato come suo primo decreto il decreto sulla pace”.
La vittoria della Rivoluzione d’Ottobre ebbe un grande significato internazionale. Lenin scrisse: “Abbiamo il diritto di essere fieri e di considerarci felici di essere stati i primi ad abbattere in un angolo del globo terrestre questa belva feroce, il capitalismo, che ha inondato il mondo di sangue, e ha portato l’umanità alla fame e all’abbrutimento”. (V. I. Lenin: “Parole profetiche”, Opere, vol. 27. pag. 463.)
La Rivoluzione d’Ottobre ha rappresentato una svolta profonda non solo nella struttura economica e di classe della società, ma anche nella ideologia della classe operaia. La grande vittoria ottenuta sotto la bandiera del marxismo-leninismo ha dato un forte colpo all’ideologia dell’opportunismo e del revisionismo e ha elevato il movimento operaio mondiale a un nuovo, più alto livello.
La Rivoluzione d’Ottobre ha trasformato la Russia in primo centro del socialismo, sostenuto dai lavoratori di tutto il mondo; ha assicurato alla classe operaia russa il ruolo di avanguardia dei lavoratori di tutti i paesi nella lotta per l’abbattimento del capitalismo e per la trasformazione socialista della società.
La classe operaia russa, nella sua lotta per la conservazione delle conquiste dell’Ottobre e in seguito per la costruzione del socialismo, ha goduto immancabilmente del sostegno e dell’appoggio dei proletari dei paesi capitalistici; così come, nel medesimo tempo, gli operai degli Stati capitalistici nella loro lotta rivoluzionaria per la causa del progresso e del socialismo, hanno potuto contare su un amico fidato e un compagno di lotta.
Il principio dell’internazionalismo proletario ha ricevuto la sua più esplicita conferma nei rapporti reciproci fra la classe operaia russa e i proletari dei paesi capitalistici: “Noi non solo abbiamo solidarizzato con la rivoluzione russa - ha scritto il segretario generale del Partito Comunista Francese, Maurice Thorez - ma abbiamo considerato la Rivoluzione socialista d’Ottobre come patrimonio nostro, come patrimonio di tutto il movimento operaio internazionale e noi, proletari di Francia, abbiamo dichiarato la nostra fede in essa e il nostro dovere d’imparare da Lenin”.
L’influenza della Rivoluzione socialista d’Ottobre sugli altri paesi era determinata dal fatto che le sue leggi principali di sviluppo avevano, per definizione di Lenin, “non un significato locale, specificatamente nazionale, esclusivamente russo, ma un significato internazionale”. Esse implicano “l’inevitabilità storica che si ripeta su scala internazionale ciò che e avvenuto da noi”. (V. I. Lenin: “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”, Opere, vol. 31, pag. 11.)
Le leggi obiettive generali della grande Rivoluzione socialista d’Ottobre sono state successivamente e brillantemente confermate dall’esperienza di quei paesi dove ha vinto la rivoluzione socialista e ha avuto inizio la costruzione del socialismo.